La radioembolizzazione è una forma di brachiterapia in cui microsfere caricate con 90Y ( Ittrio ), iniettate per via intra-arteriosa, fungono da sorgenti di radiazioni ad attività interna.
Questa tecnica produce tassi medi di controllo della malattia superiori all’80% e di solito è molto ben tollerata.
Le principali complicazioni non sono derivate dall'effetto microembolico, anche nei pazienti con occlusione della vena porta, ma piuttosto da un eccessivo irraggiamento dei tessuti non-bersaglio, compreso il fegato.
Tutti dati che supportano l'uso della radioembolizzazione nel carcinoma epatocellulare si basano su studi retrospettivi o studi prospettici non-controllati.
Tuttavia, dati attendibili possono essere ottenuti dalla letteratura, in particolare dopo la recente pubblicazione di studi con ampie serie con quasi 700 pazienti.
Quando confrontata con lo standard di cura per gli stadi intermedi e avanzati ( embolizzazione transarteriosa e Sorafenib [ Nexavar ] ), la radioembolizzazione fornisce un tasso di sopravvivenza simile.
Due aspetti sembrano essere particolarmente interessanti nell'ambito di questi stadi per la radioembolizzazione di prima linea.
In primo luogo, il trattamento dei pazienti a cavallo tra gli stadi intermedio e avanzato ( pazienti intermedi con malattia voluminosa o malattia bilobare che sono considerati candidati poco reattivi a TACE ( chemioembolizzazione endoarteriosa ) e pazienti con tumori avanzati solitari che invadono un ramo segmentale o lobare della vena porta ).
In secondo luogo, il trattamento di pazienti che sono leggermente al di sopra dei criteri per la resezione, ablazione o trapianto, per cui la sotto-stadiazione potrebbe aprire la porta a un approccio radicale.
La radioembolizzazione può anche essere usata per il trattamento di pazienti in progressione verso chemio-embolizzazione endoarteriosa o Sorafenib. ( Xagena2012 )
Sangro B et al, J Hepatol 2012; 56: 464-473
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